Fiat 500 – dietro lo spot

Il testo e l’idea è di Sergio Marchionne, recitato da Ricky Tognazzi.
Musica di Giovanni Allevi, Back to life, Album: Joy (2006).
Agenzia: Leo Burnett
Direzione Creativa: Riccardo Robiglio – Paolo Dematteis
Intervista
a Sergio Marchionne pubblicata su La Stampa

Avendo intrapreso, tutti insieme, questa idea di scrivere e raccontarci in questo blog mi ha fatto uno strano effetto sentire le prime parole dello spot della nuova Fiat 500: “La vita è un insieme di luoghi e di persone che scrivono il tempo. Il nostro tempo“.

Non c’è dubbio che alla base di questa scelta pubblicitaria vi è, che dir si voglia, la volontà di intraprendere una strada nuova nella comunicazione, (alla base vi è ovviamente una idea commerciale, si tratta pur sempre di vendere un prodotto), ma quanta differenza con le pubblicità delle altre auto.
Infatti, se guardiamo bene gli spot delle altre case automobilistiche, le stesse incentrano tutto il loro messaggio sul concetto di individuo, al massimo di famiglia, ma pur sempre come logico prolungamento dell’individuo stesso. Il mezzo è creato, è proggettato per ruotare attorno all’utente finale: il guidatore, conferendo allo stesso, a seconda dei casi, libertà, prestigio, sicurezza…

In questa, ammiccante pubblicità, si parla, invece, di collettività. Lo si fa strizzando l’occhio ai temi più cari della coscienza sociale, fra cui individuiamo: il concetto di appartenenza collettiva di una idea, ed il concetto di orgoglio nell’identità.

Appartenenza collettiva di un’idea significa che il nuovo prodotto della Fiat appartiene a tutti, come lo stesso marchio Fiat (ma a questo ci arriviamo dopo). Questo viene fatto affiancando i concetti espressi dalla voce narrante (giusto, sbagliato, bene, male, ed adirittura essere e non essere), alle immagini di eventi, di uomini, di donne, di emozioni che necessariamente appartengono a noi tutti.
In tal senso viene veicolata l’idea che la Fiat, ed in particolar modo la Fiat 500, nel suo retaggio storico, nel suo nome, nei suoi marchi (quelli proiettati alla fine dello spot), appartengono a tutti noi, ci riguardano, volenti o nolenti, fanno parte della nostra di storia.

Il secondo concetto riguarda, come detto, l’orgoglio nell’identità. Mi riferisco alla circostanza che nello spot si vuole dire: c’è orgoglio nell’essere Fiat, lo stesso orgoglio che ci può essere nel sentirsi italiani, perchè storia della Fiat e storia dell’Italia camminano insieme.
Ed ancora una volta le immagini dello spot evidenziano questo concetto: i fratelli Abbagnale, Sandro Pertini, Falcone e Borsellino, Margherita Hack…
Questo monito, peraltro, proviene da una di quelle aziende che si è risollevata da sola, con le proprie forze, con un’idea italiana.
Lo stesso orgoglio che si può provare per la Ferrari, per la Ducati, per l’Aprilia, per la Nazionale Italiana di calcio (l’immagine del Presidente Pertini è eloquente ed appartiene al nostro retaggio visivo).
Lo stesso orgoglio, in sostanza, che si può provare nell’essersi sollevati dopo essere stati nella polvere (nel caso della Fiat dopo esser stata nella Duna).

Il tutto, come dicevo, è condito con l’equazione Storia d’Italia = Storia della Fiat.
Ed in tal senso fanno parte integrante di questo spot quelle immagini dolorose: dal non si affitta ai meridionali tipico della Torino industriale degli anni ’70 (di cui mio padre mi ha parlato per aver vissuto in quel clima); alla strage di Capaci, con in mostra, appunto, una Thema ed una Croma, auto dello Stato. Giusto per citare alcuni esempi.
Queste immagini, accostate ai loro contrapposti, rafforzano il concetto di identità, di gruppo, di storia ed anche di orgoglio (lo stesso che si può provare all’estero vedendo un’auto italiana).

In questo mondo fatto di Web 2.0 e di condivisione, di marketing sociale e di open source – open content, questo spot segna una svolta, almeno per quanto riguarda la pubblicità italiana, e mi sembra molto vicino allo stile che Jobs & Co. vogliono dare dei loro prodotti.

Lo spot mi piace, anche nel suo essere ammiccante, non lo trovo scorretto.
Ciò che mi piace, inoltre, è il fatto che sia stato ideato dall’Amministratore Delegato della Fiat e che sia rivolto ad un certo pubblico, non a tutti.

E’ inutile dire che mi piace anche la nuova 500.

Buona Visione.

Un’opinione diversa su iGC

Informazioni su Avv. Gerlando Gibilaro

Vice Presidente della Camera Civile di Palermo Avvocato - esercita presso la Corte di Appello di Palermo

Un Commento

  1. La publicità, o meglio il modo come é fatta ,per le immagini e per le parole,é bella…..
    Ma Gerlando …io ritengo che l’orgolgio dell’identità e le immagini di persone e situazioni particolari non dovrebbero mai esere adoperate per convicere il “popolo” che basta comprare la 500 perchè essi ( l’orgoglio…etc…) siano di reale appartenenza.Senza trascurare quello che significa l’uso indiscriminato di macchine nelle nostre strade.E… poi scusami questa 500 ha un prezzo elevatissimo…Non é la nostra 500 tetto apribile degli anni sesanta.Voglio un mondo con più biciclette ….e con persone con le palle ,viventi.Scusami..ma sarà per la mia età.Un abbraccio

  2. Quello che volevo fare era solo un’analisi dello spot inteso anche nel suo aspetto di marketing (cosa ci sta dietro lo spot), ogni commento ed ogni riflessione oltre ad essere davvero stimolante è per me graditissima.

    E’ chiaro: si tratta di uno spot, non si tratta di pubblicità sociale o altro.
    L’identità e l’orgoglio, di certo, un popolo non l’acquista comprando degli oggetti. Anche se mi rendo conto che sempre di più si cerca di far passare determinate idee attraverso il veicolo pubblicitario, quasi che la libertà, come in qualche post fa ho detto, sia la libertà di scegliere un piano telefonico adeguato (life is now etc…).
    Non possiamo negare, tuttavia, che da sempre gli oggetti in qualche modo hanno contraddistinto la società, i costumi e gli usi, il modo e lo stile di vita. Pensando a stilisti come Chanel, a desiner come Giuggiaro o Pininfarina, ad archietetti come Piano, è innegabile che questi hanno fatto anche cultura e non solo prodotti di consumo.

    Tuttavia l’uso che questo spot fa dei concetti non lo ritengo scorretto, anzi mi è sembrato pittosto cristallino (le stesse immagini iniziali in cui si mostrano gli scioperi degli operai innanzi alla Fiat ci invogliano a delle considerazioni). Insomma, nel bene e nel male non possiamo negare che l’azienda Fiat abbia segnato la cultura italiana, e lo ha fatto non solo con le sue auto, ma anche come Società inserita nella Nazione Italia, con le lotte sindacali, con il movimento operaio, con gli scontri di persone e di idee.
    Questo fatto viene sicuramente rivendicato, e di diritto, in questo spot pubblicitario.

    Il prezzo della 500 si aggira nella media dei veicoli della sua fascia (ci sono diversi modelli, ovviamente).
    Il vero problema è: vale quanto costa?
    Se sì, va bene, vuol dire che stiamo cominciando a fare automobili anche noi.

    Per quanto riguarda il mondo con più biciclette, approvo in pieno.
    Solo un dato io ho una Fiat Barchetta dal 2001. Ho fato 26.000 Km in 6 anni. In città mi muovo a piedi o in bici (come ormai notariamente tutti sanno).
    Non ho una motocicletta.
    L’idea che ci siano macchine piccole e poco inquinanti non può che fare piacere a tutti.
    Un abbraccio.

  3. Questi spot fanno parte di una campagna pubblicitaria tesa a far credere che la nuova 500 sia un prodotto Made in Italy. Per realizzare qusto obiettivo, gli esperti del marketing si sono appropiati di fatti e luoghi con appartengono alla storia di un Paese e non dovrebbero essere utilizzati in questo modo.

    Purtroppo, gli spots sono ben confezionati e gli italiani ci sono cascati in pieno. Sono tutti corsi a prenotare la nuova 500, che di italiano ha solo il marchio, il resto appartiene alla Polonia.

  4. Ciao Mauri,
    non sono un fanatico nazionalista (non volevo certo dare questa idea all’interno del mio post). Si tratta, come ho sempre specificato, di uno spot e gli spot servono a promuovere un prodotto. Col tempo alcuni spot pubblicitari sono diventati fenomeni di costume, alcuni sono davvero geniali per quanto attiene all’ideazione… ma in definitiva si tratta di uno strumento commerciale per promuovere qualcosa (un oggetto, un servizio…).
    Detto questo volevo solo puntualizzare alcune cose:
    La nuova Fiat 500, come dici tu, è prodotta fuori l’Italia. E’ vero. E allora?
    Non starò qui a citare l’elenco completo delle altre case automobilistiche che fanno egualmente.
    Non lo faccio perché TUTTE le cause automobilistiche mondiali (e non solo in questo campo) si comportano egualmente (forse la scocca di alcune automobili è prodotta in madre patria, ma la componentistica proviene dai paesi più disparati del mondo).
    Se non altro la Fiat produce in Europa e non in qualche paese in via di sviluppo.
    Per quanto attiene all’italianità della 500 non posso non segnalare che il Centro Stile Fiat (non Giapponesi, ma Italiani con rilevanti contributi professionali di tutto il mondo… ma pur sempre istituto italiano) ha voluto riproporre le stesse forme in veste aggiornata del concetto originario ideato dall’ingegnere Dante Giacosa.
    Per realizzare la 500 la Fiat, inoltre, ha deciso di ricorrere ad un approccio che ha posto al centro del processo di sviluppo il concetto di “partecipazione”. Infatti, per la prima volta nel campo automobilistico, sono stati coinvolti direttamente i tantissimi appassionati sparsi nel mondo che, attraverso la piattaforma “500 wants you”, hanno espresso i loro desideri sulla futura vettura. Successivamente questi suggerimenti sono stati accolti dai designer e dagli ingegneri di Fiat Automobiles trasformandoli in obiettivi da raggiungere con soluzioni e dotazioni il più possibile vicine alle aspettative dei potenziali clienti.
    In quale altra casa automobilistica hai trovato simili idee?

    Non voglio andare oltre parlando delle specifiche tecniche made in Italy.

    Aldilà delle possibili divergenze di opinione, che davvero rispetto sinceramente, penso che un punto di accordo nei nostri diversi punti di vista può essere rappresentato dal fatto che si può essere soddisfatti se la Fiat resti una azienda italiana. O no?
    Avremmo di certo perso qualcosa se fosse passata in mani “straniere”.
    Così come perderemo sicuramente qualcosa se l’Alitalia sarà acquistata, ad esempio, dall’Air France, così come abbiamo già perso molti dei nostri fiori all’occhiello quali la siderurgia, l’alimentare, le Banche, le Assicurazioni… Tutti in mani non italiane la cui ricchezza, prodotta magari in Italia, finisce oltralpe.
    Grazie davvero di aver partecipato a questa discussione.

  5. Pingback: “Agnelli” e belanti italiani con la Nuova Fiat 500 « Il grande CoComero

  6. dagoberto

    mha……Gerlando mi dispiace ma propio non capisco…..ma di cosa sei soddisfatto?Che la Fiat sia un’azienda ancora italiana?e allora?ma che cosa vuol dire…..ma di cosa hai paura se Alitalia se la compra Airfrance?e invece non hai paura se nel mondo 4 aziende multinazionali controllano l’intera catena della produzione mondiale di cibo(farina, cereali..)?non hai paura invece del fatto che una qualsiasi azienda quotata in borsa…vede le sue quotazioni( cioè l’unico modo in cui si misura oggi il profitto) salire , quando annuncia licenziamenti nel ordine di 2- 3 -50 mila operai?Forse Henry Ford…in qualche modo…(vedi fordismo, vedi il modello T),creò ricchezza(ma nell’unico senso che con il modello di produzione fordista fu possibile abbassare i prezzi dei prodotti e nello stesso tempo aumentare i salari degli operai di piu’ del 50%..)ma solo…SOLO con l’unico scopo di aumentare il gioco perverso di domanda-offerta….
    Ma tu quando parli di ricchezza….ma cosa intendi davvero?
    Penso a Jean Sure….che in un breve saggio sul mondo di oggi…parlava di questi valori …lo sviluppo sostenibile o no..(ma chi lo vuole lo sviluppo?ma siamo certi che il mondo abbia bisogno di sviluppo?che le popolazioni indigene del mondo abbiano bisogno di sviluppo?), l’etica del lavoro, l’estetica dei consumi….e li chiamava queste “stelle spente”.
    Scusami Ge…ma chi cazzo se ne fotte che la Fiat è ancora un’azienda italiana?Ma a chi importa le sorti di un’azienda…..e invece a chi importano cose come la fantasia, la meraviglia, il sole, un viso sconosciuto, una parola nuova, le arancine fatte in casa….non so’ mi sento così lontano da quello che scrivi in questo post…..

  7. Sono alle stelle che mio figlio Roberto abbia scritto questo commento. E lo sono per il contenuto,per le letture fatte( mi…. ha studiato il modello Fordista) , per le sue scelte.Finalmente un erede splendido per me e per il mondo.
    grazie piccolo..
    mamma

  8. Devo essere sincero, il tuo commento mi è dispiaciuto molto. E non per i contenuti ma per il modo.

    Ho paura sì se il know how italiano viene trasferito all’estero, così come ho paura se i cervelli italiani non trovano spazio in Italia e devono essere costretti a migrare.
    Ho paura perché ho avuto modo di vedere cosa significa l’esternalizzazione del settore produttivo e strategico.
    Hai presente cosa succede in Nigeira, in Brasile, nel Congo, in Thailandia?
    In modo particolare mi ha colpito nel mio viaggio in Brasile l’impoverimento causato proprio da quelle multinazionali (ivi compresa la Fiat per intenderci) che avevano i loro interessi in altro loco.
    Alcuni intendono ricchezza come denaro, altri (fra cui il sottoscritto) la considerano come risorse e possibilità.
    La gestione di una impresa è un connubio di interessi che vanno da quello sociale/politico a quello economico.
    La presenza di una intelligenza produttiva nazionale, a mio avviso è un valore. E’ un valore che deve essere coltivato, nutrito ed implementato. E’ un valore che permette di considerare reale la sovranità nazionale, è un valore che permette nell’interscambio economico-sociale di valorizzare e tutelare i diritti di coloro che lavorano nelle imprese.
    Uno degli errori della Fiat degli anni ’80 è stato quello di non saper gestire il suo personale ( a Termini non si lavorava per niente e non si produceva) a causa di un forte connubio con la politica.
    Ed è per questo motivo che deve importare delle sorti di una azienda, deve importare a noi e a sindacati più responsabili e possibilmente ad una classe politica più attenta.
    Deve importare perché non siamo terra di conquista e ciò che viene prodotto in un paese non deve essere depauperato. Economicamente è come se un talento di un ingegnere, di un medico, di un architetto viene messo a disposizione di un altro stato.
    Non c’è dubbio: una azienda deve essere produttiva italiana o estere che sia. Ma se una azienda
    Ma che te lo dico a fare, a te importa della ” fantasia, la meraviglia, il sole, un viso sconosciuto, una parola nuova, le arancine fatte in casa”. Dopo, però, vallo a raccontare agli operai di Miriafiori che se passati alla GM avrebbero dovuto subire tagli del 60% e attualmente la GM conta un indebitamento pari a 22 miliardi di dollari nei confronti dei fondi pensionistici. Adesso la Fiat sta riassumendo. Se una impresa è in crisi dove taglierà: nei settori produttivi nazionali o nei comparti esteri?

  9. dagoberto

    Carissimo GE,
    a me sembra tu sia rimasto un po indietro.Che tu sia rimasto in quel periodo di 10, 20 anni fa. In cui i sindacati erano ancora qualcosa per qualcuno, in cui potevi forse mettere una dietro l’altra la parola “economia” e la parola “sociale”.A me sembra che di “sociale” in un’impresa come la Fiat ci sia rimasto ben poco.A me, ma non solo a me, sembra che negli ultimi 50 anni la teoria economica a cui piu’ si è dato ascolto, è stata quella di un certo signor Milton Friedman, che è stato l’uomo a cui l’economia mondiale ha dato piu’ ascolto, osannandolo come un semi-dio,premio Nobel, e tutto il resto.Bene quest’uomo, che tra l’altro divenne il piu’ stretto collaboratore di uno dei regimi piu’ sanguinari e drammatici( anche economicamente), quello di quel boia di Pinochet in Chile,ecco quest’uomo sostenne (per fortuna è morto da poco)che l’unico sistema che funziona è quello in cui le imprese sono libere di andare e produrre e vendere dove vogliono, in cui TUTTO è in mano ai privati( OSPEDALI, poste, pensioni, servizi sociali, SCUOLE), un mondo in cui i sindacati sono visti solo come un ostacolo tra i padroni ed i singoli operai…..
    Per quasi duecento anni l’idea che il lavoro fosse “il modo” di produrre la ricchezza di una nazione e la via d’uscita dalla povertà, suonava bene e piu’ o meno era così(l’etica del lavoro). Oggi ti sembra che sia ancora cosi?Oggi “progresso” significa riduzione del personale, e sviluppo tenologico significa sostituire il “lavoro vivo” con il “lavoro morto”, oggi il colosso modiale delle telecomunicazioni, la ATandT, annuncia un taglio di 40 mila(si stai leggendo bene, quarantamila)posti di lavoro a casa sua, e le sue azioni fanno un salto di 12 punti percentuali, e questo avviene ogni giorno nei mercati finanziari di tutto il mondo, e questo è il modo in cui oggi una qualsiasi impresa quotata in borsa produce ricchezza.Allora se è la Fiat o è la Gm a muoversi in questo modo, qual’è la differenza?Tu parli dell’intelligenza produttiva nazionale come un valore,parli di intescambio economico-sociale, si forse, 50 anni fa forse.E non a caso molte delle immagini dello spot che ti piace tanto, di quella fabbrica che ti piace tanto, sono immagini in bianco e nero, un passato troppo lontano ormai, di lotte esaurite da tanto tempo, movimenti e facce e valori che oggi sono soltanto un impiccio, un ostacolo allo “sviluppo”.Oggi la teoria economica che piu’ ha successo è quella di MR. Friedman: lo stato dovrebbe rimuovere tutte le leggi che rappresentano un ostacolo all’accumulazione di capitale,sempre lo stato dovrebbe vendere a privati qualsiasi tipo di attività in grado di produrre ricchezza( e in questo si includono anche quie luoghi che dovrebbero “produrre intelligenza”, vedi le università), tagliare tutti i fondi che oggi vanno ai servizi sociali, tutti i prezzi, compreso il prezzo della manodopera, dovrebbero essere determinati dal mercato.E questa non è soltanto teoria, è quello che sta già accadendo in gran parte del mondo “civile” di oggi.Se vuoi non pensarci, in nome di un’identità nazionale, in un mondo in cui il concetto di stato-nazione protettore degli interessi nazionali è visto ormai come un inutile ostacolo alla produttività di una qualsiasi azienda,fallo pure, a me sembra tutto illusorio ed inutile…come anche pensare che i sindacati siano in grado di migliorare qualcosa…qualsiasi cosa.Mio caro Ge i sindacati non esistono piu’.O come chi vuole elevare l’economia al grado di scienza,che scienza invece non è,ma solo teoria soggettiva di una società in un particolare momento, o come chi pensa che un mondo diverso sia ancora possibile. Io di soluzioni non ne vedo davanti. Viviamo in un mondo in cui la ricchezza ha cambiato binari, e da mezzo è diventato scopo, fine a se stesso, è cioè il denaro ha l’unico scopo di produrre ancora piu’ denaro, in un triste “loop” che non ci porta da nessuna parte..
    La crescita economica è stata realizzata.Ma per che cosa, per chi, a quali costi, e per arrivare dove???
    E ritornando allo spot da cui nasce il nostro dialogo qui sul CoCo, quanto mi sembra ipocrita la Fiat che in Francia manda lo stesso spot, solo che cambia le facce e i momenti di identità nazionale, per cui i francesi nella loro versione hanno Edith Piaf, il movimento degli anni ’80 “touche pa mon pot” che lottava contro i razzismi di allora, Aznavour e altri….e allora che mi dici di questo?Ti stanno forse prendendo per il culo ?o no?
    Per questo parlo di fantasia e arancine e di meraviglia, che sono l’unico modo che abbiamo oggi per sfuggire a tutta questa merda che ci tirano addosso, che quasi non puzza piu’, la chiamano profumo di valori….io la chiamo assuefazione.

    “we shall squeeze you empty,and then we shall fill you with ourselves.”
    -G.Orwell,-1984-

    “Le teorie di Friedman gli diedero il premio nobel;e diedero al Chile il Generale Pinochet”.
    Eduardo Galeano.

  10. dagoberto

    Rileggo solo ora la tua response e mi acccorgo che scrivi che ti è dispiaciuto il mio commento non per i contenuti ma per il modo…in che senso non ti è piaciuto il modo?

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